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Storia della ceramica faentina

Faenza è una città d’arte di origine romana celebre per la produzione di oggetti in ceramica di squisita fattura, esportati in molti Paesi europei. Il toponimo stesso è diventato sinonimo di ceramica (maiolica) in molte lingue, tra cui il francese (faïance) e l’inglese (faience).

Le prime fabbriche ceramiche nacquero a Faenza nel I secolo A.C. A favorire la produzione di ceramica sono state probabilmente le caratteristiche dei tipi di argille reperibili nelle acque del fiume Lamone, presso il quale sorge la città romagnola. Tuttavia Faenza diverrà celebre per le sue ceramiche solamente vari secoli dopo, con il Rinascimento.

Maiolica o faenza smaltata

La ceramica di Faenza è la cosiddetta maiolica (o “faenza smaltata”), ovvero ceramica dotata di un rivestimento vetroso opacizzato con l’ossido di stagno. Un prodotto che seguirà un lento e costante sviluppo, sia dal punto di vista della tecnica ceramista, sia dei cromatismi e delle decorazioni, per raggiungere l’apice del successo nel Cinquecento.

La faenza smaltata

Il periodo arcaico corrisponde all’epoca medievale (dal Duecento agli inizi del Quattrocento), durante il quale la produzione è stata prevalentemente di oggettistica casalinga e da bottega: soprattutto boccali, ma anche brocche, coppe, piatti, scodelle e porta spezie di varie forme e dimensioni.

Tra le decorazioni più comuni della maiolica si ricordano figure e fantasie geometriche, fitomorfe e zoomorfe, epigrafiche e araldiche; mentre le colorazioni più diffuse erano verde, bruno e turchino su bianco smaltato o con tecnica di riserva su fondo a graticcio. (La tecnica di riserva consiste nel far sì che certe superfici della carta non vengano coperte da colore: le composizioni si ottengono togliendo o cancellando le riserve).

 boccale arcaico con stemma dei Manfredi, maiolica di Faenza, ultimo quarto del secolo XIVboccale arcaico con donna (Fillide) che cavalca un uomo (Aristotele), maiolica di Faenza, fine XIV secolo

La faenza ingobbiata e invetriata

Alla produzione di vasellame smaltato, piuttosto pregiato e quindi costoso, era affiancata la ceramica ingobbiata, ovvero rivestita di un sottile strato terroso di colore bianco o giallino. Questo tipo di ceramica era di più larga diffusione, prevalentemente scelta per oggetti di forma aperta come piatti e ciotole.

Catino in ceramica ingobbiata, graffita, dipinta e invetriata

Un’altra variante, ancora più “povera”, era la faenza invetriata, ceramica di argilla rossa ricoperta di vetro trasparente per avere un effetto impermeabilizzante. Trovava impiego nella produzione di vasellame da tavola e da cucina.

Questa produzione “differenziata” di maioliche smaltate, ingobbiate e invetriate perdura fino all’ultima metà dell’Ottocento, quando la ceramica di Faenza entra in una fase critica che vede alcune delle maggiori fabbriche chiudere.

piatto con cavetto in maiolica, Faenza, XV secolo

Il Novecento e il Museo Internazionale delle Ceramiche

La ripresa però è rapida: gli inizi del Novecento vedono una svolta culturale e artistica che ha il suo emblema nella fondazione del Museo Internazionale delle Ceramiche (1908) per intuizione dello storico dell’arte Gaetano Ballardini. Il Museo diviene in breve tempo il punto di riferimento per la ceramica italiana di ogni epoca.

una sala del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza (MIC)

Il Museo delle Ceramiche fu ben presto affiancato da una scuola di ceramica pensata per risolvere i problemi tecnici, estetici ma anche organizzativi e commerciali manifestatisi negli anni precedenti. È l’origine dell’attuale Liceo Artistico per il Design “Gaetano Ballardini” di Faenza.

Il modello-fabbrica per la maiolica non prese mai piede a Faenza: l’arte ceramica faentina è tuttora al lavoro di singoli artigiani o botteghe a conduzione famigliare che affiancano nuove tendenze estetiche a stili decorativi tradizionali di epoca medievale e ottocentesca.

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